venerdì 13 dicembre 2013

IL CINEFORUM DELLA III C: "INVICTUS" IN MEMORIA DI NELSON MANDELA

Il 5 dicembre scorso, si è spento a Johannesburg Nelson Madiba Mandela, leader del movimento anti-apartheid che nel 1990 portò all'eliminazione di quest'ultima e ciò permise a Mandela di salire al potere come Presidente del Sudafrica. Mandela viene spesso ricordato col nome "Madiba" col quale era conosciuto nel suo clan. Per sostenere la lotta contro le discriminazioni e i soprusi dei bianchi verso i neri, Mandela appoggiò la lotta armata e per questo fu arrestato e condannato a 27 anni di carcere dopo i quali salì al potere. Le sue azioni e la sua lotta per la libertà gli hanno fatto vincere il "Premio Nobel per la Pace" nel 1993. Anche a scuola, per non dimenticare questo grande uomo, abbiamo visto "Invictus" un film di Clint Eastwood che parla delle vicende avvenute nel mandato di Mandela. Il film è incentrato sul rugby e dimostra quanto sia vero che "Lo sport unisce le persone" infatti, per dare il colpo di grazia all'apartheid, Mandela si serve dei "Campionati Mondiali Di Rugby" che il Sudafrica  ha ospitato nel 1995. Nel film Mandela  (interpretato da Morgan Freeman) incoraggerà la sfortunata nazionale di rugby sudafricana (gli Springboks) a non mollare mai e, facendo leggere al capitano della squadra una poesia, porterà il Sudafrica ad una (miracolosa) vittoria in una finale al cardiopalma contro i leggendari "All Blacks". La citazione preferita di Mandela nel film esiste davvero ed è di Henley e dice: "Sono il padrone del mio destino, il capitano della mia anima".        
                         (post a cura di Francesco Giardino)

La frase "Io sono il padrone del mio destino, il capitano della mia anima" mi ha fatto riflettere pensando che il destino dobbiamo costruirlo noi, agendo nel modo più giusto che riteniamo, non facendoci influenzare dalle altre persone o da quello che accade intorno a noi. Siamo tutti uguali, abbiamo tutti diritto allo stesso rispetto, abbiamo tutti pari dignità e valore indipendentemente dalla razza, siamo i capitani di quello che abbiamo o che ci appartiene. Se è necessario bisogna lottare per ciò che è proprio ma senza ricorrere alla violenza.
                    (post a cura del  Alfredo Consiglio)


mercoledì 11 dicembre 2013

E SE L'EMIGRANTE FOSSI IO?

Oggi è un giorno come tanti, sempre in cerca di un lavoro, sempre con la speranza di ricevere una telefonata per un colloquio. Ogni sera vado a dormire sempre con lo stesso pensiero, ma adesso veramente non ce la faccio più a restare qui . Non ce la faccio più a vivere con la speranza di una telefonata. Farei di tutto, sul serio, fare la badante a un vecchio o le pulizie in una casa, per portare un po' di soldi a casa, ma qui nel mio paese non riesco a trovare nessun lavoro. E poi non sono sola, non devo badare solo a me stessa: con me c'è mia sorella di 5 anni Carol, vorrei avere un lavoro anche per farle vivere una vita migliore di quella che ha avuto fino ad ora che è stata sempre misera e senza felicità. Ma adesso, veramente, non c'è niente da fare, devo per forza partire. Il viaggio mi fa paura ma ho preparato tutte le nostre cose e a malincuore lascerò la nostra casa. Non ci credo ancora, non riesco a farmi capace di quello che sta succedendo, non avrei mai pensato di andarmene da qui, dove vedevo il mio futuro: è qui che sono nata e dove volevo vivere. 
Sono partita, per tutto il viaggio non ho fatto altro che pensare se ho sbagliato a lasciare lì tutto, la mia famiglia,le mie cose, ma soprattutto la mia infanzia.
- E se non ce la farò? E se non mi troverò bene neanche lì? E' stato tutto troppo affrettato? -
Per tutto il viaggio non sono riuscita a  pensare a nient'altro che a questo. Arrivata a destinazione, mi sono sentita davvero spaesata, la gente che corre di qua e là, non so da dove iniziare, dove devo andare. E' una grande città rispetto a dove vivevo io, la gente mi guarda fissa e mi sento davvero una straniera in questa terra. Fortunatamente qui c'è un'amica che mi indica un posto dove stare e lì, solo in quel momento, ho capito che era iniziata la mia avventura.
Ho subito cercato lavoro chiedendo a chiunque di darmi una mano nei negozi. Neanche qui c'è molta scelta, ma almeno si riesce a trovare qualcosa, non mi faccio problemi, il primo lavoro che riuscirò a trovare, lo coglierò al volo senza pensarci due volte. 
Un pomeriggio dopo l'altro, sempre imperterrita a cercare, e niente...
La volontaria dell'associazione che si occupa di noi emigranti mi dice che una ditta di pulizie sta cercando una collaboratrice domestica. I miei occhi hanno iniziato a brillare, davvero non riesco a crederci, dopo tutti questi giorni a cercare, senza neanche un minuto di riposo e adesso con una semplice frase la mia vita cambierà. 
Devo dire che non è stato per niente facile, ma almeno adesso ho un po' di speranza, adesso solo ora ho voglia di vivere.  Anche se so che la mia vita non sarà mai come quella degli altri, non mi sentirò mai del tutto accettata. Secondo me se non ci vogliono, ma se preferiscono che noi restiamo nei nostri paesi, la prima cosa che dovrebbero fare è aiutarci nel nostro, così non saremmo costretti a lasciare tutto e potremmo restare nella nostra città e vivere una vita migliore con la nostra gente. Poi ci penso e dico: - Ma non è più bello un mondo così, multicolore in cui si vive insieme senza pensare alle razze?
Sono passati un po' di anni e sto meglio, ho una famiglia e dei figli, purtroppo però non starò mai bene come nella mia amata città che porterò sempre nel cuore.
                                          (post a cura di Sara Giuliano)

lunedì 25 novembre 2013

IL CINEFORUM DELLA III C: "HUGO CABRET"

In classe abbiamo visto il film "Hugo Cabret", è un bellissimo film che parla di un bambino Hugo che all'improvviso si trova a vivere senza i genitori nella stazione ferroviaria di Parigi, fin quando non incontra una ragazza figliastra di George MélièsMéliès è il secondo inventore del cinema (dopo i fratelli Lumiere) ma durante la grande guerra si pensava che fosse morto. George Méliès poi fu ritrovato da un giornalista che era molto interessato alla sua storia personale e lo riportò alla gloria, però solo per pochi anni  perché  Méliès era già molto vecchio. Nel film Méliès diventa il protettore di Hugo, che ha ricostruito un automa rotto che Méliès aveva progettato e che il padre di Hugo, prima di morire, stava riparando.
Io in più di un occasione mi sono sentito un giocattolo rotto ma la volta in cui mi sono sentito più smarrito è stato quando mia madre mi ha comunicato la sua decisione di lasciare Bari e tornare a Salerno. In quel momento mi sono sentito sperduto e ho realizzato che avrei perso tutta la mia vita così com'era fino ad allora. Tutto sarebbe cambiato dalla  casa agli amici fino alle abitudini più radicali. E' stata una sensazione orribile, anche se sapevo che la scelta di mia madre era obbligata e che lei non avrebbe mai fatto nulla per danneggiare me e mia sorella. Sapevo che lo faceva per offrirci il meglio come sempre, eppure era difficile comprenderlo. Solo oggi a distanza di qualche anno comincio a sentire che tutti i pezzi stanno ritornando al loro posto e non mi sento più un giocattolo rotto.
                                                                                               (Leonardo Carbone)

Il film "Hugo Cabret" a me è piaciuto molto. Mi piace l'idea che, nonostante il protagonista Hugo viva da solo, riesca a sopravvivere e riparare l'automa che lui e il padre avevano iniziato. In realtà Hugo non ripara solo un robot ma anche se stesso, il grande George Méliès che aveva perso la fiducia nei suoi film e in se stesso dopo la Grande Guerra, e altri personaggi.
Io mi sono sentito un giocattolo rotto quando ho avuto la sfortuna di procurarmi per ben tre volte nella mia vita delle fratture alle ossa, le prime due all'età di 6 anni alle braccia, a distanza di due mesi l'una dall'altra. A dire il vero non ne ho un ricordo molto nitido. Forse per l'incoscienza dell'infanzia non mi sentivo un giocattolo rotto ma anzi cercavo di fare il più possibile. Al contrario quando due anni fa mi sono rotto la gamba mi sentivo davvero un giocattolo in mille pezzi. In ospedale stavo proprio male, non solo per il dolore, ma anche perché non mi potevo muovere. Prima dell'operazione, nonostante tutti mi dicessero che sarebbe andata bene, ero molto preoccupato (per fortuna andò veramente tutto bene).
Quel grosso ferro impiantato nell'osso mi impediva di fare molte cose che io amavo e per questo mi sentivo escluso. Fortunatamente gli amici mi aiutarono venendomi a trovare spesso. In questo modo mi distraevo e non mi sentivo "rotto". Sentirsi "esclusi" come Hugo è una brutta sensazione, però bisogna pensare al dopo, ai momenti migliori che ritorneranno, come è successo a me.
                                                                                    (Gianmaria Schiavino)

SIAMO TORNATI...

un po' in ritardo... Ma ora siamo la TERZA C!!!

giovedì 16 maggio 2013

SHAKESPEARE PROJECT 2: IL GLOBE


Il Globe Theatre fu il teatro di Londra dove recitò la compagnia di William Shakespeare. Fu costruito nel 1559 dallo stesso Shakespeare e fu distrutto da un incendio nel 1613 perché completamente in legno. Fu ricostruito nel 1615, chiuso nel 1642 e in seguito, demolito nel 1644.
La struttura del teatro era ottagonale, completamente in legno e all’aperto, con una tettoia per proteggere i pregiati costumi degli attori in caso di pioggia.  Veniva anche chiamato “The Wooden O” per la sua forma circolare e il materiale di cui era composto. Gli attori erano esclusivamente di sesso maschile e solo dopo il 1660 le donne poterono apparire in scena. Nell’età elisabettiana, l’ingresso costava un penny per i posti in piedi (al centro del teatro e ai lati del palco) e due penny per i posti a sedere nelle tre gallerie circolari. La scena era costituita da un palcoscenico che si protende verso il pubblico e da un secondo piano usato per la rappresentazione di scene con ambienti interi o balconi (come Romeo e Giulietta). Solitamente, gli spettacoli iniziavano di giorno e finivano la sera ed erano utilizzate torce per l’illuminazione. Si pensa che proprio a causa di queste ultime il Globe abbia preso fuoco insieme alle sue preziose scenografie. Sulla bandiera posta sopra la struttura era riportato il motto: “Totus mundus agit histrionem” (Tutto il mondo recita).
Nel 1996 si iniziò a ricostruire il teatro che fu completato nel 1997 ed inaugurato nel 1999. La ricostruzione del teatro fu fortemente voluta dal regista statunitense Sam Wanamaker che avviò i primi progetti nel 1987. Purtroppo, l’opera fu completata quando Wanamaker era ormai scomparso. Il Globe Theatre ospita ogni anno una nutrita stagione teatrale che si svolge da maggio a settembre e che segue la volontà di Sam Wanamaker, programmando ogni anno almeno un'opera Shakespeariana eseguita da una compagnia completamente maschile e utilizzando costumi elisabettiani. Attualmente ad occuparsi della direzione artistica del teatro è l'attore e regista inglese Mark Rylance. Una ricostruzione del Globe è presente anche in Italia, nei giardini di Villa Borghese a Roma: il  Silvano Toti Globe Theatre, costruito interamente in legno di quercia come l’originale, costruito in soli 3 mesi ed inaugurato nel 2003.




              (post a cura di Francesco Giardino)

lunedì 6 maggio 2013

SHAKESPEARE PROJECT 1: IL TEATRO ELISABETTIANO




Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici di maggior splendore del teatro britannico. Il periodo storico a cui appartiene va dal 1558 al 1625, durante i regni dei sovrani britannici  Elisabetta I d'Inghilterra e Giacomo I d'Inghilterra. Questo teatro rinascimentale inglese si estende nel periodo che va dalla riforma anglicana alla chiusura dei teatri nel 1642, a causa del sopraggiungere della Guerra Civile. Il teatro elisabettiano viene associato a due grandi figure: la regina Elisabetta (1533-1603), da cui trae il nome, e il drammaturgo William Shakespeare (1564-1616), massimo esponente di questo periodo e considerato tuttora uno dei maggiori autori teatrali in assoluto. Nello stesso periodo, però si impongono altri drammaturghi inglesi importanti come Christopher Marlowe, che perfezionò il “blank verse", cioè un verso inteso come un insieme di dieci sillabe, ripreso poi dallo stesso William Shakespeare, e Ben Jonson, che fu anche poeta e attore.  
Il teatro Elisabettiano ignora le regole classiche, mescolando comico e tragico, ignora anche le unità di tempo, luogo e azione tipiche del teatro classico e riprese dai miracle e morality plays,  ovvero le rappresentazioni sacre portate nelle piazze delle città britanniche.
Il teatro elisabettiano dal punto di vista dell’architettura è un perfetto edificio teatrale, nel quale il palcoscenico è una pedana allungata che arriva fino al centro della platea, dove il pubblico (che stava in piedi) si rilassava parlando e chiacchierando, anche senza seguire lo spettacolo. Intorno alla platea si trovavano delle gallerie disposte su tre piani, destinati agli spettatori che potevano permettersi un biglietto più costoso.
Shakespeare nel 1592 si aggregò, a Londra, a una compagnia teatrale come attore e scrittore di testi teatrali. Riuscì ad affermarsi nell'ambiente teatrale londinese, divenendo comproprietario dei due più importanti teatri londinesi dell'epoca, il “Globe Theatre” e il “Blackfriars”. Risalgono a questo periodo le sue prime importanti tragedie: Riccardo III, Enrico IV, Romeo e Giulietta. Scrisse anche commedie di successo: La commedia degli equivoci o degli errori e Il mercante di Venezia entrambe ambientate in Italia, Sogno di una notte di mezza estate, Molto rumore per nulla, Le allegre comari di Windsor. Shakespeare compose anche tragedie cupe e violente che crearono grandi eroi tragici: nascono così Amleto, Otello, Macbeth, Re Lear. Negli ultimi anni della sua carriera teatrale scrisse Il racconto d'inverno e La tempesta, ricchi di elementi mitologici e magici. Negli ultimi anni della sua vita non scrisse più nulla vivendo in tranquillità a Stratford-on-Avon.

      (post a cura di Gianmaria Schiavino e Leonardo Carbone)


martedì 23 aprile 2013

UNA VISITA ALLA CERTOSA DI PADULA

La Certosa è un monastero di monaci certosini, di solito situato in zone solitarie. Il nome deriva dalla Grande Chartreuse, il monastero principale dell'Ordine Certosino, (uno dei più rigorosi ordini monastici della Chiesa cattolica) situato sul massiccio della Chartreuse sulle Alpi francesi. In Italia esistono 26 Certose e una di queste è la Certosa di San Lorenzo. Essa, conosciuta anche come Certosa di Padula, è la più grande d'Italia e nel 1998 è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. La sua struttura richiama l'immagine della graticola sulla quale San Lorenzo fu bruciato vivo. La sua costruzione è iniziata intorno al 1300 ed è stata ultimata intorno al 1700. Per questo nell'edificio possiamo trovare elementi di epoche diverse: ad esempio per entrare nella Chiesa della Certosa si deve attraversare una porta in cedro del Libano del 1300 ma nel resto del monastero prevale lo stile Barocco. Il complesso monastico ha una superficie di circa 50.000 mq e in esso vi sono oltre 300 stanze. Il priore, cioè il monaco più importante, ha un appartamento di 10 stanze, che contengono ancora vari mobili in legno intarsiato e una stanza in particolare si affaccia su due meravigliosi giardini. Le altre celle sono ognuna di circa 110 mq, perché i monaci che abitavano nella Certosa erano tutti figli di nobili che offrivano grandi somme di denaro al monastero. Il monastero ha il più grande chiostro del mondo, contornato da 84 colonne e al centro è posta una fontana di 372 anni fa. In un lato del chiostro c'è il cimitero dei monaci costruito nel 1729. La Cappella è decorata con preziosi marmi e con degli altari in scagliola, un materiale simile al marmo, con inserti in madreperla. Questi altari sono molto raffinati, perché ricchi di pietre preziose e decorati a mano. Una grandissima scala a chiocciola in marmo bianco porta alla grande biblioteca del convento. Questa scala ha un'architettura molto complessa, perchè ha una struttura che si mantiene su un solo punto e che è ancora oggi studiata per capire come hanno fatto gli architetti a costruirla. La biblioteca ha il pavimento ricoperto da mattonelle e ha dei mobili in legno. All'interno della Certosa c'è anche una grandissima cucina con all'interno un gigantesco camino. La cucina ha sul muro delle mattonelle bicolori, verdi e gialle, perché si riteneva che questi colori tenessero lontani gli insetti. Proprio in questa cucina è stata cucinata la leggendaria frittata da 1000 uova preparata in onore di Carlo V fermatosi alcuni giorni di ritorno da Tunisi. All'esterno, invece, ci sono due scale a chiocciola che, unendosi, formano una costruzione ottagonale sormontata da una cupola ellittica costruita da Gaetano Barba nel 700; di giorno la scala è illuminata da finestre di forma irregolare attraverso le quali si vede la città di Padula. Durante la seconda guerra mondiale la Certosa fu utilizzata come campo di prigionia e i prigionieri di guerra inglesi avevano formato una squadra di calcio; per questo motivo sulle pareti di un ballatoio sotto lo scalone, usato come spogliatoio dei prigionieri, c'è ancora un dipinto scherzoso che raffigura un topo con un pallone tra i piedi. Oggi la Certosa ospita il Museo Archeologico della Lucania Occidentale.
                                      (post a cura di Gianluigi Citro)

venerdì 22 febbraio 2013

VIVERE E'... (SECONDO NOI)


Vivere è saper sognare
anche cose impossibili,
saper cantare
anche canzoni incredibili
                       (Silvio Gargano)

Vivere è vedere il meglio
della vita e saperne amare ogni aspetto.
Vivere è scoprire se stessi
e sapere essere umili.
                       (Francesco Giardino)

Vivere è rispetto verso se stessi e gli altri,
ricordandosi anche del prossimo.
Vivere è rilassarsi,
scordando anche solo per un attimo 
le cose brutte e stressanti che ogni giorno ci inseguono.
Vivere è crescere:
non rimaniamo sempre piccoli,
dentro di noi c'è sempre una parte più grande.
                     (Ivana Rombi)

Vivere è collezionare
non figurine, ma bei ricordi
e saper pensare
a una poesia dai versi belli.
Vivere è saper vivere
in un giorno di sole o di nebbia
e non andarsene o svanire
come un piccolo granello di sabbia.
                     (Gianmaria Schiavino)

Vivere è soccorrere o aiutare 
chi fortuna non ne ha avuta:
avere un cuore per amare
è l'unica ricchezza posseduta.
Vivere è stare all'aria aperta
sotto un cielo azzurro su un verde prato,
proteggere l'ambiente e stare all'erta
affinchè questo tesoro sia tutelato.
                     (Eleonora Federico)

Vivere è respirare,
essere presenti in ogni minuto di ogni giorno
che poi in poco tempo sembra già terminare;
vivere è prendere decisioni e aiutarsi a vicenda:
in noi ci può essere qualche imprecisione
ma la vita è stupenda.
                       (Chiara Vernieri)

Vivere è godersi la vita,
godersi la luce del giorno
come una musica infinita
o come le stelle intorno al mondo.
Vivere è scoprire un mondo nuovo,
un mondo pieno di stranezze
tondo e compatto come un uovo
con un sacco di incertezze.
                        (Gaia Pullo)

Vivere è uscire dal bozzolo
come bruchi che diventano farfalle,
non è come cadere in un pozzo
ma stare nella natura come margherite gialle
Vivere è essere felici
e prendere ogni cosa positivamente
ma non mancheranno i momenti malinconici
che vanno vissuti pazientemente.
                        (Anna Emilia Candela)

mercoledì 23 gennaio 2013

DELITTO ALLA "MONTERISI"

Era l'ultima settimana di lezione prima delle vacanze estive e nella 2C c'erano solo otto alunni presenti: Chiara, Claudio, Francesco, Anna Emilia, Costabile, Sara, Gaja e Ivana. La giornata era iniziata come tante altre, anche se i ragazzi erano particolarmente eccitati all'idea che avrebbero inserito l'ultimo post dell'anno scolastico sul loro blog, con l'aiuto della prof. di italiano. Questa volta la prof. aveva dato loro la possibilità di decidere di quale argomento parlare. Francesco aveva tante idee, Ivana, Sara e Anna Emilia volevano parlare della storia di Giuseppe Verdi, Gaja e Chiara dell'alimentazione mentre Costabile e Claudio erano a corto di idee...
Stavano accendendo la LIM, quando la prof. di italiano chiede ai ragazzi di portarle il bicchiere d'acqua che era solita bere prima di iniziare la lezione e poi quel giorno faceva particolarmente caldo. Francesco, sempre pronto ad offrirsi volontario, schizza fuori dalla classe alla ricerca di un bicchiere di plastica e vola in bagno per riempirlo d'acqua.
Ci mette un po' di tempo e rientra in classe facendo l'imitazione della signora Livia, la bidella, che ancora urlava perché si era resa conto che dal suo armadietto era sparita la busta dei bicchieri di plastica. Era stata un'impresa trovarne uno ma, racconta Francesco ai suoi compagni, piuttosto che fare brutta figura con la prof. ritornando a mani vuote, aveva preso l'unico bicchiere che era riuscito a vedere vicino a sé, poggiato su uno scaffale nel corridoio.
Ma dopo aver bevuto qualche sorso d'acqua la prof. si accascia sulla cattedra senza vita. Cosa sarà successo? I medici arrivati in soccorso non possono fare niente per lei e dopo poco ecco arrivare la polizia chiamata dalla preside.
Dall'esame fatto sul contenuto del bicchiere risulta che l'acqua bevuta dalla prof. conteneva una certa quantità di veleno per topi in polvere e le uniche impronte trovate su di esso erano di Francesco.
Quindi, l'unico sospettato del commissario Rossi è lui, ma c'è un dubbio: tutti hanno dichiarato che i suoi rapporti con la prof. erano ottimi.
Tra gli otto presenti c'è grande agitazione, non riescono a stare fermi e in silenzio, nonostante la presenza della polizia. Francesco riflette sull'accaduto, pensando ad una storia da scrivere. Sara e Ivana sono particolarmente impaurite e Anna Emilia si lamenta di un prurito alle mani dando la colpa ai poliziotti e disse: "Quei poliziotti con la loro mania di prendere le impronte!" Quell'inchiostro le aveva fatto sicuramente allergia. Chiara non riesce a togliersi dalla testa quello che era accaduto e incomincia a ragionare e riflettere sul fatto che forse non è stato Francesco ma qualcun altro. Crede che, se veramente fosse stato lui, avrebbe trovato un modo per far si che le sue impronte non apparissero sul bicchiere per non essere scoperto.
Poco dopo infatti la polizia trova dei guanti in cortile probabilmente gettati dalla finestra, un paio di quelli che usano tante mamme in cucina per non rovinarsi le mani, fatti di quel materiale sottile di gomma bianca. Adesso quindi, proprio come aveva pensato Chiara, Francesco non è più il sospettato numero uno. I sospettati dunque, sono tutti gli otto presenti.
Chiara cerca di ricostruire nella sua mente tutti i momenti prima e dopo l'accaduto. Di sicuro l'assassino è uno di loro perché solo un alunno può conoscere l'abitudine della prof. di chiedere l'acqua prima dell'inizio della lezione, ma come aveva fatto a mettere la polverina nel bicchiere?
Guarda i volti dei suoi compagni ad uno ad uno, Claudio, Costabile e Francesco giocano a battaglia navale per passare il tempo. Ivana, Gaja e Sara sono così impaurite da essere diventate pallidissime e Anna Emilia non trova pace con quel prurito alle mani, che ora sono coperte da tanti puntini rossi. Continua a ripetere che è tutta colpa  dell'inchiostro, quell'inchiostro dei poliziotti! E' così strana, si gratta, si gratta.
All'improvviso ecco! Quei puntini, i guanti fatti di quella gomma! Chiara ricorda che sua madre non li usa mai. Dice che non li sopporta perché le fanno allergia. Allergia al lattice! Anna Emilia li ha messi per non far trovare le sue impronte sul bicchiere, ecco perché ha il prurito!
Chiara informa subito il commissario Rossi di questa scoperta: Anna Emilia sapeva che la prof. avrebbe chiesto il bicchiere e, conoscendolo bene, sapeva che Francesco non sarebbe mai mancato quel giorno a scuola perché c'era da scrivere l'ultimo post sul blog!
Sicuramente Anna Emilia aveva preso il veleno dal garage di suo padre e l'aveva messo nel bicchiere che aveva lasciato su quello scaffale dopo aver rubato quelli della signora Livia.
Sapeva con certezza che Francesco vedendolo lo avrebbe preso pur di non fare brutta figura!
Ma perché tutto questo? Lei non aveva motivo di fare una cosa simile: era la migliore, la prof. le dava sempre soddisfazione, sempre ottimi voti... appunto! Anna Emilia era stufa di tutto questo, non si sentiva libera di fare errori, aveva paura di sbagliare e deludere la prof. ed era invidiosa di quelli che non dovevano dimostrare niente a nessuno.
Quindi aveva deciso di eliminare il motivo della sua ansia: la prof. di italiano!
Anna Emilia, messa alle strette dal commissario, non ha potuto fare altro che confessare... e il caso è risolto!
                                         (Post a cura di Chiara Vernieri)